Qui sotto una nota scritta da Sergio Bassoli, direttore del Progetto Sviluppo CGIL, che sara' l'editoriale dell'assemblea della tavola della pace a Perugia il 26 agosto.
"Angelo, faremo l'amore con la non-violenza per partorire la PACE dal grembo della societa' ".
Dodici ragazzi
Sabato dodici agosto, oggi era prevista la festa di chiusura del campo, con i ragazzi dei vari centri alla Torre del Fenicottero, unico spazio all’aperto ed attrezzato, per i bambini arabi dentro la città vecchia. I nostri ragazzi avevano pensato di organizzare delle squadre per costruire dei disegni sui cartoncini, con i colori liquidi, prevedendo un gran pasticcio di colori, una allegra confusione dove i bambini potessero scaricare la tensione e la compressione che spesso sfocia in aggressività. Nelle serate precedenti, nei dopo cena, si era discusso del cosa fare ed io ascoltavo, in silenzio, questi dodici ragazzi che presentavano e difendevano le loro proposte come se fosse una questione di stato, come se fosse una cosa da prendere sul serio. L’avevano presa veramente sul serio. Il punto centrale del ragionamento era caduto sui bisogni dei bambini, su ciò che avevano visto in questi pochi ma intensi giorni di lavoro con loro.
Avevano visto con i loro occhi e toccato con le loro mani gli effetti della segregazione di una comunità, quella palestinese, che vive dentro Gerusalemme. Una comunità che vive sotto occupazione e senza prospettive di futuro, circondata da un’altra comunità che ha deciso di non volere più condividere quello spazio e quella terra, ma di volersene appropriare per intero. L’arabo deve andarsene questo sembra essere il pensiero e la pratica della comunità ebraica. Ed il palestinese di Gerusalemme, resiste, soffre, si ripiega in mille strategie di sopravvivenza, non può costruire o ampliare la propria abitazione e quindi vive in spazi angusti, tutti in una stanza, tutti nella cantina, tutti sulla terrazza, tutti nel locale costruito abusivamente fino a quando non arriva l’ordine di demolizione per poi costruirne un altro nel piccolo cortile del retro. Non può più muoversi e spostarsi a Ramallah o nei tanti villaggi che circondano la città vecchia, per andare al lavoro o per raccogliere i frutti ella propria terra, e quindi si inventa nuovi lavori, precari e informali, manda i propri figli ad ovest a lavorare in nero, dall’altra parte, sfruttati ma almeno si pota a casa un pezzo di pane. Alcoolismo e droga sono entrati nelle case della comunità palestinese di Gerusalemme, l’abbandono scolastico è aumentato enormemente, perché andare a scuola, a cosa serve se non sappiamo cosa farcene del nostro futuro, meglio stare in strada, vivere la giornata. I genitori non hanno risposte da dare ai loro figli, vorrebbero darne ma non possono. Le reti di solidarietà si allentano, emergono forti smagliature, violenza tra le mura domestiche e violenza nelle strade, mancanza di punti di riferimento sociali, culturali. I più ricchi, sì perché anche tra i palestinesi ci sono i ricchi, mandano i figli a studiare all’estero, prendono la doppia residenza, vivono due vite, una di resistenza ed una di provvisoria libertà, ma i più poveri rimangono, non hanno alternative, per loro la dignità ed i diritti umani o si trovano qui o non si trovano più.
I nostri ragazzi hanno visto, negli occhi e nei comportamenti dei bambini, del quartiere arabo di Gerusalemme vecchia, tutto ciò. Nessuno ha fatto loro una lezione in un’aula, loro hanno visto ed hanno capito il problema: combattere la violenza, ridurre la tensione, promuovere la gioia e la voglia di stare insieme. La loro risposta è stata quella di sporcarsi tutti quanti insieme con i colori, succeda quel che succeda, meglio una rissa di colori, liberatoria e piena di vita che tante inutili raccomandazioni in cambio di nulla. Oggi questo poteva bastare, per il nostro campo estivo e per il nostro progetto di cooperazione con i centri giovanili e con le associazioni di Gerusalemme, questo era un ulteriore contributo di assistenza e di rete di servizi sociali che si vuole mantenere in piedi, in assenza di riferimenti istituzionali, ma per il resto, per la pace, per la convivenza, per la fine di un conflitto assurdo che sta distruggendo intere generazioni, persone, famiglie, comunità, è sufficiente ? No.
Siamo andati a parlare con gli altri, noi sempre parliamo con tutti, noi non siamo contro nessuno, noi sappiamo che per fare la pace occorre costruire il dialogo ed il rispetto dell’altro, noi cerchiamo di praticare quei principi che sono facili da declinare negli scritti ma complicati da tradurre in quotidianità, in gesti, in impegni condivisi. Noi abbiamo dimenticato, volutamente, a casa, in una qualche parte della nostra soffitta, l’odio verso l’altro. Riconosciamo che l’altro ha sempre delle ragioni, non può essere sempre e solo un nemico da combattere, altrimenti finisce il gioco della vita.
Abbiamo chiesto all’altro se era possibile lavorare insieme, arabi ed israeliani a Gerusalemme, lavorare insieme per affrontare i problemi dei giovani, per la ricerca di lavoro, di benessere reciproco. E l’altro ci ha risposto con la più semplice e precisa difesa del palestinese di Gerusalemme “… i palestinesi non possono lavorare con noi, se lo facessero significherebbe per loro riconoscere lo staus quo, cioè l’occupazione, …..” .
La politica, o interviene la politica o non se ne esce. Quante volte abbiamo detto e scritto, “ora o mai più”, “Basta è ora di agire..” , “ .. questa è l’ultima opportunità..” ma invece, nulla accade e la vita prosegue, l’occupazione pure, la tragedia di chi subisce si ripete, e noi assistiamo impotenti ad un dramma che non ha fine. Cosa serve ancora alla politica per dire basta ? Cosa serve ancora per prevenire e fermare le guerre che stanno distruggendo le vite di oggi e le speranze per un domani migliore ? Come potrà il supposto vincitore della guerra pensare di vivere in pace in mezzo a tante comunità sconfitte ed umiliate ?
Come possiamo noi, semplici cittadini di un mondo che è unico, da condividere e da proteggere per il bene di tutti, continuare a delegare la politica a chi non riesce a fermare le guerre, a chi non riesce a garantire i bisogni minimi ed il diritto a vivere con dignità, in ogni angolo del pianeta ?
La festa oggi non si farà, i ragazzi palestinesi della città vecchia di Gerusalemme, a cui chiediamo scusa, dovranno attendere una nuova opportunità per sporcasi di tutti colori del mondo, noi oggi continuiamo a piangere Angelo, colpito in modo vigliacco ed assassino da una mano e da una forza che ha voluto fare del male, di cui non se ne conosce la ragione. Oggi siamo pieni di dolore ma non di odio, quello non lo troviamo più, l’abbiamo definitivamente perso. Torneremo per Angelo, sperando che i bambini ci aspettino per quella festa, per quei colori, e speriamo di essere in tanti e di esserci tutti.
Gerusalemme, 12 agosto 06
Sergio Bassoli
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